L’ultimo spettacolo

L'ultimo spettacolo«Non riesco a credere di essermi fatta convincere a venire in questo postaccio». Giada osservò il cinema semideserto e storse il naso. Quel posto era orribile e puzzava tremendamente di pop corn. Era un vecchio cinema particolarmente datato, probabilmente risalente agli anni cinquanta.
«Ma quale postaccio! Io lo trovo incantevole. Sembra quasi di essere tornate indietro nel tempo, non trovi? E poi il biglietto costa solo cinque euro». Erica era raggiante.
«Ora capisco tutto. Sei la solita taccagna! Cosa non faresti per risparmiare anche un solo centesimo» borbottò Giada seccata, lanciandole un’occhiataccia. Lei ed Erica erano amiche da sempre e Giada non ricordava una sola volta in cui l’amica non si fosse preoccupata del denaro. Ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma quella volta Erica aveva davvero esagerato: quel cinema cadeva a pezzi. La moquette era lurida e in alcuni punti scollata e il barista, dietro il piccolo angolo bar, era così vecchio che Giada si domandò se sarebbe riuscito ad arrivare a fine serata.
«Dai, Giadina. Non dovresti giudicare un libro dalla copertina. Proiettano dei film nuovissimi a poco prezzo. Non puoi negare che i cinema moderni costino un occhio della testa».
“Sì, ma almeno sono più puliti di questo posto. Speriamo di non prendere i pidocchi”, pensò Giulia, guardando disgustata la bottiglietta d’acqua che aveva appena comprato. Era tutta appiccicosa. «Faccio un salto il bagno prima che cominci il film».
«Okay, tesoro, ma vedi di sbrigarti. Il film comincia tra dieci minuti. Io ti aspetto in sala».
«Sì, tranquilla. Farò in un lampo».
Giada aprì la porta della toilette, la cui targhetta sembrava stare appesa per miracolo, e non poté fare a meno di guardarsi intorno disgustata. Il bagno, se possibile, era in condizioni peggiori del resto dell’edificio. Possibile che i proprietari si preoccupassero così poco della pulizia e della manutenzione di quel posto? Eppure sarebbe bastato così poco per renderlo un cinema degno di questo nome. Era un vero peccato!
Si avvicinò all’unico lavandino presente e aprì il rubinetto, ma quello gorgogliò rabbioso in risposta, rifiutandosi di funzionare. Giada sbuffò pensando a Eva. Avrebbe dovuto seguire il suo esempio. Aveva dato loro buca sostenendo di non sentirsi troppo bene, ma lei sapeva che l’aveva fatto per paura di finire in un posto di dubbio gusto proprio come quello.
Mentre stava guardando sconsolata il rubinetto che continuava a lamentarsi, la luce iniziò a sfarfallare, aumentando così la sua irritazione.
«Certo!» sbottò lei, alzando gli occhi al soffitto. «Non vedevo proprio l’ora di rimanere da sola al buio in questo schifo di posto».

«E chi ha detto che sei sola?» sibilò una voce davanti a lei, raggelandola.
Spaventata, Giada abbassò gli occhi e fissò lo specchio sopra al lavandino, dove il suo riflesso la stava guardando con un’espressione sardonica stampata in faccia. Vide i suoi occhi accendersi di rosso, mentre la pelle sembrava invecchiare e sgretolarsi velocemente, rivelando ciò che vi si trovava al di sotto. La ragazza cercò di fare un passo indietro terrorizzata, ma la figura dall’altra parte dello specchio si sporse in avanti e l’afferrò per le braccia ridendo. «Non puoi sfuggirmi cara. Hai firmato la tua condanna a morte quando hai oltrepassato la soglia di questo posto».

Erica si guardò intorno e notò che la sala era completamente vuota. Era strano che le persone snobbassero quel posto forse un po’ vecchiotto, ma che proponeva comunque i film più recenti.
“Meno male che l’ho scoperto”, sorrise fra sè sistemandosi a sedere, “Ottimi film a poco prezzo: è il posto giusto per me. Se poi c’è poca gente, meglio! Almeno potremmo vedere il film in pace”.
Pochi minuti dopo le luci si spensero e lo schermo iniziò a proiettare vecchie pubblicità. Approfittando dell’oscurità, Erica aprì la borsa ed estrasse il sacchetto di popcorn che aveva preparato a casa prima di uscire. Che male c’era a voler risparmiare un po’?​ Meno male che Eva non c’era, altrimenti l’avrebbe di sicuro presa in giro.
Mentre aspettava l’inizio del film iniziò a mangiucchiare un popcorn dietro l’altro. Le pubblicità erano in bianco e nero, dando al cinema un’aria retrò che non le dispiaceva affatto.
Sentì la porta della sala aprirsi e si girò per fare segno a Giada, che avanzò lentamente nella sua direzione. Ce ne aveva messo di tempo! La pubblicità era ormai terminata e uno di quei vecchi countdown cinematografici era apparso sullo schermo, avvisando che mancava solo un minuto. Presto il film sarebbe iniziato, non vedeva l’ora!
«Sei arrivata giusto in tempo, il film sta per iniziare» bisbigliò a Giada, che nel frattempo si era seduta vicino a lei. «Sei arrabbiata con me per questo posto? Sei così strana».
Mentre il countdown scandiva gli ultimi dieci secondi, Erica si voltò in direzione dell’amica e incontrò i suoi occhi vitrei che la fissavano. Giada sorrise scoprendo i denti e si afferrò i capelli con una mano e tirò. La testa si staccò dal resto del corpo con un colpo secco e Erica urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre i popcorn si riversavano per terra, rotolando sotto i sedili.

Il barista abbandonò la sua postazione e si diresse verso la sala, zoppicando leggermente. Era ora di chiudere, mancava solo un’ora all’alba.
«Hai finito di giocare con quelle due?» urlò, dopo aver aperto la porta della sala.
Una risata sinistra riempì l’aria e Giada, con la testa sotto il braccio, si avvicinò al vecchietto.
«Sempre il solito guastafeste. Non ci si può mai divertire quando ci sei tu nei paraggi» sbuffò la testa, roteando gli occhi in tutte le direzioni.
«Mi pare che ti sia divertito anche troppo» sospirò il barista, indicando la testa con cui il corpo di Giada stava giocherellando. «Muoviti, forza. Dobbiamo andarcene».
«E’ un vero peccato, mi piaceva questo posto».
«Siamo rimasti qui troppo a lungo, dobbiamo cambiare città se non vogliamo dare troppo nell’occhio. Vedrai che troveremo un altro vecchio cinema come questo. Il mondo ne é pieno».
Si spostarono verso l’entrata e il barista si aprì la camicia, voltandosi verso Giada. Il corpo della ragazza cadde sul pavimento e la testa scivolò giù dai gradini, rotolando verso il bar. Un fumo nero uscì dalle sue labbra e lo spettrò si allontanò da lei, penetrando dritto nel petto del vecchio, mentre i suoi occhi si coloravano d’un rosso acceso.
«Tra poco ce ne andremo. C’è solo un’ultima cosa da fare».

Erano ormai le quattro del mattino quando Eva tornò finalmente a casa, dopo aver trascorso la serata in discoteca in compagnia di alcuni amici di suo fratello. Prima di addormentarsi controllò il cellulare, ma non c’erano messaggi.
“Forse le ragazze se la sono un po’ presa. Probabilmente ho fatto male a dar loro buca per l’ennesima volta.” pensò, mentre apriva Whatsapp e lasciava un messaggio per Giada, prima di addormentarsi.
Il mattino seguente, Eva guardò di nuovo il cellulare, ma si accorse che il messaggio non era arrivato a destinazione. Preoccupata, provò a chiamare Giada, poi Erica, ma entrambi i loro cellulari erano spenti. Tentò allora di telefonare alla mamma di Giada e questa, agitata e balbettante, le riferì che le due ragazze non erano ancora rientrate a casa.

Ventiquattr’ore dopo, Eva parcheggiò la macchina vicino al cinema che Erica le aveva suggerito qualche giorno prima. Aveva provato a convincere la polizia che le due ragazze erano andate lì quella sera, ma nessuno le aveva creduto, sostenendo che si trattava di un vecchio cinema chiuso ormai da decenni.
Eva scese dall’auto e si avvicinò, osservando l’insegna posta sopra l’entrata. Sotto strati di polvere si poteva ancora leggerne il nome. Cinema Eden. Appoggiò una mano sulla porta, che si aprì cigolando, e Eva non poté fare a meno di reprimere un brivido involontario.
“Probabilmente la serratura era difettosa”, si disse, mentre entrava in quello spazio buio, facendosi luce con il flash del cellulare.
La prima cosa che vide fu il corpo senza testa di Giada, che giaceva riverso sulla schiena. Si tappò la mano con la bocca e si voltò per fuggire ma la porta alle sue spalle si chiuse, facendo scattare la serratura. Per quanto Eva cercasse di tirarla, quella non aveva nessuna intenzione di aprirsi.
«Sapevo che saresti venuta a cercarle» sghignazzò una voce alle sue spalle. «Lo sapevo e sono rimasto qui apposta ad aspettarti. Sei contenta?»
Eva strinse il cellulare e si voltò, sollevandolo per cercare il proprietario di quella voce ma tutto ciò che vide furono soltanto due occhi rossi.

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