Una piccola luce nel buio

Una piccola luce nel buio

347,55 euro. Ecco tutto ciò che rimaneva sul suo conto in banca. Enrico, preso dallo sconforto, poggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la testa tra le mani. Dopo un paio di minuti la sollevò e fissò di nuovo le cifre sullo schermo del computer. 347,55 euro, non c’erano dubbi. Cosa poteva mai fare con una cifra così misera? Non era nemmeno sufficiente a pagare le bollette che avrebbero presto affollato la cassetta della posta. Avrebbe dovuto di nuovo chiedere soldi in prestito al figlio Stefano, il quale era stato costretto ad abbandonare gli studi universitari e a trovarsi un lavoro, perché si era reso conto che il padre non era in grado di farcela da solo. Che cosa umiliante per un genitore dover chiedere del denaro al proprio figlio.
Frustrato e con le lacrime agli occhi, Enrico chiuse la pagina internet relativa al suo conto in banca e aprì il file che conteneva il libro che aveva scritto qualche anno prima. Era un thriller che aveva iniziato a scrivere, subito dopo la morte della moglie, per compensare la solitudine che provava ogni volta che la sera si coricava senza di lei al suo fianco. Scrivere era stato terapeutico, e da allora non aveva più smesso. Quando aveva terminato il libro, Enrico aveva anche cercato di farlo pubblicare, ma tutti gli editori gli ripetevano la medesima cosa: che non era nessuno, non era un autore conosciuto, e si rifiutavano persino di leggerlo. Scoraggiato, Enrico aveva riposto il suo sogno nel cassetto, però, ogni tanto, quando era giù di morale, riapriva quel file e si metteva a leggere o correggere qualche capitolo.

Al suo rientro, intorno alle 2 di notte, Stefano trovò il padre ancora intento a sistemare il suo romanzo. Sapeva che era molto turbato. Il fatto che stesse di nuovo sistemando il suo libro era un indizio più che sufficiente, ma ultimamente le rughe sulla sua fronte si erano fatte più marcate e i suoi occhi spesso erano velati di tristezza e disperazione. Lui sapeva che le cose non stavano andando bene. Il negozio di alimentari di suo padre era ormai sul lastrico ed era stato costretto a licenziare tutti i commessi per restare a galla. A causa della crisi purtroppo i clienti scarseggiavano, attirati dalle numerose offerte dei grandi supermercati che promettevano enormi risparmi, e quei pochi soldi che guadagnava bastavano appena per pagare l’affitto del locale. Aveva più volte cercato di convincere il padre a vendere ma si era sentito rispondere che quel posto era tutta la sua vita, che lì aveva lavorato per anni insieme alla moglie e che vi conservava i ricordi più belli, come i primi passi di Stefano.
«Bentornato» borbottò Enrico.
«Ciao. Che ci fai ancora in piedi, papà? È tardi.» disse Stefano lasciandosi sprofondare nel divano. Era veramente esausto.
«Non riuscivo a dormire. Troppi pensieri.» rispose Enrico, gli occhi ancora incollati allo schermo.
«Dai papà, cerca di riposare o domani mattina non sarai neppure in grado di alzarti.»
«Va bene, ci proverò» e detto questo si alzò e andò a prepararsi una camomilla.
Stefano si accorse che aveva lasciato il portatile acceso, probabilmente per dare un’ultima occhiata al suo libro prima di andare a letto. Senza pensarci due volte aprì il suo zaino, afferrò la pennetta usb e la infilò nel computer. Tendendo l’orecchio per ascoltare cosa stava facendo suo padre, Stefano copiò il file del romanzo sulla sua pennetta, la rimise nello zaino e tornò a sedersi sul divano, giusto in tempo per vedere il padre rientrare nella stanza e rimettersi al computer.
Quando Enrico ebbe terminato la camomilla, Stefano prese il bicchiere e lo depose nel lavello. L’avrebbe lavato domani mattina.
Il mattino seguente Stefano si alzò intorno alle 11 e, constatato che il padre era uscito come al solito per andare al negozio, andò in cucina a prepararsi del caffè, mentre attendeva che il suo computer si decidesse ad accendersi. Terminato la colazione, Stefano tornò in camera e si distese sul letto, il computer sulle gambe e la chiavetta in una mano, ancora indeciso sul da farsi.
Proprio la sera precedente aveva notato un annuncio che aveva subito attirato la sua attenzione. Era un concorso nazionale che si teneva ogni anno in cerca di nuovi scrittori. Tutti potevano parteciparvi gratuitamente. Mancavano solo due giorni alla fine del concorso, ma era certo che non sarebbero stati sufficienti a convincere suo padre a parteciparvi. Aveva sempre detestato questo genere di cose.
Ripensando alla sera prima e all’espressione afflitta che il padre non era riuscito completamente a celare, ogni suo dubbio si dissolse: aprì il file e iniziò a sistemarlo. Una volta ultimato, Stefano lo inviò al concorso senza ulteriori ripensamenti, registrandosi con i dati del padre.
Era sempre stato convinto del talento di suo padre. Aveva letto il suo romanzo e l’aveva trovato veramente accattivante. Stefano si chiese quante possibilità ci fossero che il romanzo potesse vincere il concorso. Probabilmente molto basse ma, come diceva sempre sua madre, c’è sempre una speranza, per quanto piccola. E cos’è la speranza, se non una piccola luce nel buio, che ci permette di mettere un passo dopo l’altro, anche nei momenti più difficili della vita? Ed è a questa speranza che Stefano si aggrappava con tutto sé stesso. Avrebbe dato qualsiasi cosa per vedere di nuovo il sorriso affiorare sulle labbra di suo padre.
Stefano passò una settimana incollato al computer continuando ad aggiornare la pagina che promuoveva il concorso, ma quando uscirono i risultati si rese conto di essersi illuso troppo. Guardando il nome del vincitore del concorso si rese conto che si trattava del solito raccomandato, senza il minimo briciolo di talento. Bastò una breve ricerca su internet per scoprire che era il nipote di uno degli sponsor del concorso. Stefano si diede dello stupido. Come aveva potuto pensare che si trattasse di una cosa seria? Ormai la maggior parte dei concorsi sono truccati e si vince solo grazie a una buona raccomandazione. Se non conosci nessuno non vali niente, è questa la verità. Cosa importa avere talento, se tanto gli unici ad esser premiati saranno sempre quelli che meno lo meritano?

Il mattino seguente Enrico si recò al lavoro come sempre. Parcheggiò la bicicletta nel piccolo magazzino del negozio, aprì le serrande e accese l’interruttore della luce ma non successe nulla. Provò invano a premere l’interruttore ma le luci non volevano proprio accendersi. Imprecando andò verso il contatore, pensando che probabilmente era solo saltata la corrente, ma quello sembrava morto. Enrico si vide costretto a chiamare un elettricista, che gli assicurò che sarebbe arrivato entro un’ora. Abbattuto, si sedette sui gradini d’entrata del negozio ad osservare la gente che passava, mentre pregava che non si trattasse di qualcosa di grave. Quando due ore dopo l’elettricista si presentò in negozio si domandò che cosa avesse mai fatto di male nella vita per meritarsi tutto questo.
«Mi dispiace signor Coletti, ma qui c’è da rifare tutto l’impianto elettrico.» esclamò l’elettricista.
«Rifare l’impianto elettrico? Ma non si può aggiustare?» Enrico non poté fare a meno d’impallidire al solo pensiero di dover rifare l’intero impianto.
«Aggiustare? Signor Coletti cosa vuole aggiustare qui?! L’impianto è vecchio e fuori norma, non mi stupisce che sia andato in cortocircuito.»
«E quanto costerebbe ripararlo?» riuscì a domandare con fatica.
«Qualche migliaia di euro direi, non so bene quanto. Se vuole appena preparo il preventivo le faccio sapere».

Enrico rincasò in tarda mattinata. Sul tavolo della cucina trovò 1.200 euro che gli aveva lasciato Stefano per pagare le bollette. Mise una mano sulla busta e si sedette. Aveva la sensazione di trovarsi in un incubo, di affogare. Era come se un macigno rovente gli premesse sul petto, mentre l’ansia gli attanagliava le viscere e gli toglieva il respiro risucchiando via l’aria dai polmoni. Gli sembrava che ormai la vita non avesse più senso. Era certo di non farcela più a sopportare questa situazione, e gli sembrava di arrancare giorno dopo giorno, come un uomo nel deserto, disidratato e senza forze, che annaspa nella speranza di trovare una minuscola goccia d’acqua per dare sollievo alla sua gola riarsa. Si disse che non poteva più andare avanti così e che doveva farla finita. Stava affondando e non voleva portare suo figlio con sé. Non più.
Uscì di casa senza nemmeno rifletterci e girovagò a lungo per le vie della città. Fu solo quando si trovò nei pressi di un ponte, poco lontano dal luogo in cui aveva incontrato per la prima volta sua moglie, che si fermò. Erano ormai le 23 e in giro non c’era anima viva. Salì sul bordo del ponte e guardò in basso, verso l’acqua scura che sembrava chiamarlo a sé. Avrebbe risolto tutto, ecco ciò che pensava. Finalmente avrebbe liberato suo figlio. Era ora che si facesse una vita sua, che inseguisse i suoi sogni e non che stesse continuamente legato a lui cercando di pagare i suoi conti. Avrebbe potuto finalmente vendere il negozio, guadagnarci qualcosa e ricominciare gli studi. La corrente era abbastanza forte e non c’erano testimoni, con un po’ di fortuna il suo corpo non sarebbe mai stato ritrovato e suo figlio si sarebbe risparmiato anche i costi del suo funerale. Con le lacrime agli occhi Enrico sollevò la testa, guardò il cielo pieno di stelle e, pensando alla moglie, sussurrò:
«Perché mi hai abbandonato?»
Enrico spostò un piede verso il fiume quando improvvisamente il suo cellulare iniziò a squillare. Guardando sul display vide che era un numero che non conosceva e, pensando che fosse l’elettricista, decise di rispondere. Non voleva lasciare altri problemi a suo figlio.
«Pronto, parlo con il signor Coletti?»
«Sì, sono io. Se è per l’impianto lasci perdere.»
«Impianto? No, sono uno dei giudici del concorso al quale ha partecipato.»
«Non ho partecipato a nessun concorso, si sbaglia.»
«Mi scusi, ma lei è il signor Enrico Coletti?»
«Sì, certo.»
«Allora non mi sbaglio. Sono un piccolo editore locale, e mi è capitato di leggere il suo romanzo. Mi dispiace molto che non abbia vinto il concorso, ma sarei intenzionato a pubblicare il suo lavoro se è d’accordo. Lei ha talento, potrebbe diventare davvero qualcuno.»
Confuso, Enrico si accordò con l’editore e decisero di incontrarsi il giorno seguente per stendere un contratto che comprendeva anche il seguito del romanzo. Conclusa la telefonata Enrico si sedette incredulo sul bordo del ponte. Dopo qualche minuto si avviò verso casa e raccontò al figlio di quella strana telefonata, evitando di parlargli della storia del ponte, e così scoprì che doveva la sua vita proprio a suo figlio. Lo abbracciò forte sorridendo e gli preparò una buona tazza di cioccolata calda mentre si faceva raccontare com’era andata la giornata.
Entrambi andarono a letto verso le quattro del mattino pensando che d’ora in poi le cose sarebbero andate meglio. Enrico quella sera riuscì finalmente ad addormentarsi sereno, con la consapevolezza che sua moglie vegliava sempre su di lui.

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Il racconto ha ottenuto un Conferimento Speciale quale Protagonista attivo della Cultura alla 6° edizione Concorso Poesia e Narrativa ” Idea Donna – Lui e Lei-“.

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