Il potere della fantasia

Il potere della fantasia

Ricordo bene quel giorno. Era una giornata di metà settembre, una di quelle giornate che conservano ancora un po’ del calore e del sapore di un’estate che difficilmente vuole cedere il passo all’autunno.
Stavo giocando ai giardinetti, mentre mia madre e una sua amica chiacchieravano a pochi metri di distanza. Avrò avuto all’incirca sette anni. Avevo portato con me la mia palla e vi ero così affezionato che ancora oggi mi domando che fine abbia fatto. Ero salito sopra lo scivolo che si trovava al centro di quei giardini; era uno di quei bei scivoli in legno, che assomigliavano a dei piccoli fortini.
Erano appena le tre del pomeriggio e i pochi bambini presenti stavano giocando sulle altalene. Lo scivolo era libero e io mi avvicinai felice: sarebbe stato tutto per me. Una gran bella soddisfazione per un bambino delle elementari.
Salii euforico i sette gradini che mi separavano dalla vetta, tenendo stretta fra le mani la palla. Una volta in cima mi guardai attorno soddisfatto, sentendomi il re di quei giardinetti. Potevo vedere tutto da lassù: lo stagno con i pesciolini, il gazebo dove erano soliti ritrovarsi alcuni vecchietti per giocare a carte e anche tutte le giostrine che quel giardino offriva. Saziato da quella vista, mi voltai verso lo scivolo; sembrava davvero alto ai miei occhi di bambino.
Non so come mi fosse venuta in mente quell’idea, ma credevo sarebbe stato divertente lasciar cadere la palla lungo quello scivolo e osservare quanto si sarebbe spinta lontano. Non appena la lasciai, quella schizzò via veloce, saltando prima su un cavallino a molla e rimbalzando poi per qualche metro sull’erba appena tagliata, fermandosi infine sotto una panchina.
Le corsi dietro non appena saltò dallo scivolo, prendendomi anche una bella sgridata da un guardiano per aver calpestato delle aiuole. Dopo essermi scusato, raggiunsi la panchina sotto la quale la mia palla aveva trovato rifugio.
Mi avvicinai cauto, cercando di non disturbare la ragazza che lì seduta stava leggendo con interesse il suo libro. Non riuscii a vedere bene il suo viso, nascosto com’era dietro a spessi occhiali da sole.
Facendo attenzione a non macchiarmi d’erba, recuperai il mio amato giocattolo. Feci per andarmene, ma il mio sguardo cadde sul libro che la ragazza stava leggendo e mi fermai a fissarlo stupito. Le pagine erano completamente bianche.
«Hai forse intenzione di rimanere lì imbambolato tutto il giorno?» mi chiese divertita, senza nemmeno guardarmi.
Arrossii imbarazzato e borbottai delle scuse in risposta, ma lei scosse la testa.
«Non devi scusarti. La curiosità non è mica un male». Mi parlò in modo gentile, ma all’epoca ero molto timido perciò rimasi in silenzio a guardarla.
«Volevi per caso chiedermi qualcosa?» mi domandò, inclinando appena la testa nella mia direzione e facendomi cenno di sedere lì accanto. «Non mordo, sai».
Mi sedetti titubante. La mamma mi aveva sempre raccomandato di non parlare con gli sconosciuti, ma la curiosità ebbe la meglio.
«Come mai leggi un libro tutto bianco?» trovai il coraggio di chiederle.
«Capisco» esclamò lei ridendo. «Solo perché è bianco non vuol dire che non ci sia scritto nulla» mi rivelò, porgendomi il libro.
Lo sfogliai, avvicinandolo al viso per osservarlo meglio. In effetti le pagine erano bianche, ma non vuote come mi era sembrato ad una prima occhiata; erano zeppe di puntini in rilievo, tutti ordinatamente disposti in fila, come tanti soldatini. All’epoca non avevo idea di cosa fossero; ero convinto che non avessero alcun senso e che quella ragazza si stesse prendendo gioco di me.
«Qui non c’è scritto proprio niente» ribadii restituendole quello strano libro.
«Ci sono parole che non tutti sanno leggere» mi confidò serafica, abbozzando un sorriso. «Se ora io ti mostrassi un libro scritto in ideogrammi giapponesi, saresti forse in grado di leggerlo?»
Scossi la testa incantato da quel suo discorso. Mi affascinava il modo in cui mi parlava.
«Questo libro», e me lo aprì davanti agli occhi «è scritto in un linguaggio speciale, e solamente alcune persone sono capaci di comprenderlo».
Io, che avevo da poco imparato a leggere, non mi ero mai imbattuto in un libro simile, perciò era comprensibile che non avessi la più pallida idea di cosa fosse. La mia immaginazione mi portò a credere che si trattasse di un qualche codice segreto; eppure lei non mi dava l’impressione di essere una spia, perciò preferii non fare la figura dello stupido, tenendo per me le mie considerazioni, e le chiesi, invece, che cosa fosse.
Non mi rispose subito ma, per la prima volta da quando mi ero seduto su quella panchina, si voltò verso di me, togliendosi gli occhiali. Alla vista dei suoi occhi sobbalzai, ma mi ricomposi subito per non offenderla. I suoi occhi erano velati di bianco ed era chiaro che quella ragazza non potesse vedere nulla. Ero dispiaciuto per lei, perché era una persona così simpatica e gentile meritava di poter godere di tutte le bellezze che il mondo aveva da offrire.
Non so come ma si accorse subito del mio turbamento e i suoi occhi sparirono all’istante dietro le lenti scure.
«Non è una cosa così grave». Lo disse in un tono così sereno che non potei fare a meno di crederle. «Allora, dove eravamo rimasti? Ah, sì. Hai capito ora che cos’è?»
«Un libro per i ciechi».
«Esatto, proprio così. Basta passare il dito sopra questi puntini. Avanti, prova».
Provai a sfiorare una riga, ma a me quei pallini non volevano dire proprio nulla.
«Non ti mancano le figure?» le chiesi d’istinto, guardando quella triste pagina incolore, senza rendermi conto di quanto insensibile potesse risultare la mia domanda.
All’epoca le immagini erano d’importanza vitale per me. Come facesse la gente a leggere libri senza nemmeno un’illustrazione era un autentico mistero. Ero testardamente convinto che l’assenza di immagini significasse che il libro era noioso e che non valeva nemmeno la pena leggerlo. Devo ammetterlo: sono sempre stato molto cocciuto e farmi cambiare idea è un’impresa titanica da cui ben pochi sono usciti vittoriosi.
«Perché dovrebbero mancarmi?» mi chiese, dopo averci riflettuto un attimo. «Non mi sono mai piaciute, ad esser sincera. Amo immergermi nelle storie che leggo, lasciando che sia la mia stessa immaginazione a dar vita a luoghi e persone. In questo modo i personaggi rimangono impressi nella mia mente e li sento miei; senza contare che così non corro il rischio che un’immagine non mi piaccia».
Rimasi a guardarla a bocca aperta, cercando di ribattere, ma non ci riuscii. Come darle torto in fondo? Il suo ragionamento non faceva una piega.
«Vuoi provare a leggere qualcosa? Se vuoi ti insegno» mi propose ad un certo punto, dato che per l’ennesima volta ero rimasto in silenzio, spiazzato dal suo particolare modo di fare.
«È un libro di fiabe» mi spiegò, prendendomi la mano e posizionandomi l’indice su quello che immaginai essere il titolo. «Non sono fiabe tradizionali, ma sono scritte in modo molto semplice».
Leggemmo un paio di pagine, soffermandoci di tanto in tanto. Era lei a leggere, io la imitavo soltanto. Ricordo che la storia parlava di un uomo dall’aspetto sgradevole che, grazie all’incontro con un folletto, diventava bellissimo ma non riusciva comunque a trovare qualcuno che lo amasse.
Durante la lettura mi chiedeva spesso come immaginavo potessero essere i personaggi e i luoghi in cui si svolgeva la storia, rivelandomi poi com’erano invece secondo lei. Era divertente constatare che, nonostante stessimo leggendo la stessa storia, il risultato era sempre diverso.
«Immagina quante versioni diversi folletti potrebbero venire fuori se chiedessimo a tutti quelli che sono nel parco di disegnarlo. Nessun disegno sarebbe uguale ad un altro».
Stavamo per iniziare l’ultima pagina quando lei mi spostò la mano e chiuse il libro, lasciandomi basito.
«Perché?» La storia era carina e aspettavo con ansia di sapere come andava a finire.
«Non amo conoscere i finali delle storie. Cosa fai quando un film o una storia non finiscono nel modo in cui avresti voluto tu?»
«Ci rimango male» risposi confuso. Quella domanda mi aveva preso in contropiede.
«Esatto. A volte i finali sono deludenti, altre ti fanno sognare, ma io preferisco dare ad ogni storia il mio finale personale. In questo modo posso salvare chi non sarebbe stato salvato, far restare chi se ne doveva andare. Non è meglio così?». Il suo tono era dolce, quasi sognante e di nuovo non riuscii ad obbiettare. Aveva ragione su tutta la linea.
Mentre la guardavo, mise in borsa il libro e si alzò, prendendo in mano il bastone che fino a quel momento non avevo notato. La salutai allegramente, ricambiando il suo sorriso anche se sapevo che non poteva vederlo.
Una volta a casa salii su una sedia e presi dalla libreria un libro che il nonno mi aveva regalato per il mio compleanno. Non ricordo con precisione quale libro fosse. L’avevo confinato lassù certo che non mi sarei mai preso il disturbo di aprirlo, dato che era completamente privo di immagini.
Nel corso degli anni imparai a leggere sempre meglio e iniziai a divorare ogni libro che mi capitava a tiro, per la gioia dei miei genitori che spesso si lamentavano che spendevo troppo tempo e troppi soldi in libri.
In seguito scoprii che leggere non mi bastava più e cominciai a scrivere, stimolato da quell’incontro nel parco che mi aveva aperto un mondo totalmente nuovo, fatto di pura immaginazione. Iniziai con dei racconti brevi, dedicati a ragazzi che, come me, adoravano il genere fantasy; crescendo, però, ho sentito il bisogno di scrivere racconti che parlassero di persone vere. Traevo ispirazione dalle persone che mi circondavano, osservando spesso la gente che si sedeva vicino a me in metropolitana e immaginando quale storia avessero mai da raccontare.
Oggi, alla vigilia dei miei quarantadue anni, ho pubblicato il mio primo libro.
Non ho idea di chi fosse quella strana e curiosa donna che incontrai in quella lontana giornata di settembre, eppure qualcosa mi dice che, ovunque sia, starà leggendo il mio romanzo con il sorriso sulle labbra.

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16 commenti su “Il potere della fantasia

  1. Il racconto dimenticato non è più ritornato in mente, però sono riuscita a scrivere nero su bianco gli altri cinque che avevo ideato, è già tanto. Ora vorrei completare quello che avevo scritto mentalmente due anni fa (Me lo ricordo ancora benissimo) e dare l’ultima ripassata al romanzo. Mi pare che con le ultime modifiche ci abbia guadagnato parecchio.
    E tu, Bjbyna, non stai più scrivendo niente?
    Un abbraccio affettuoso a te

  2. Buon inizio settimana carissima Roberta
    È sempre un piacere Rileggerti.
    Un abbraccio
    E grazie per esserci sempre.
    Chiara

  3. Ciao, grazie per essere passata da me. Amo leggere i tuoi racconti e qui è meglio, non salta tutto come in iobloggo.
    Forse anch’ io cambierò: passerò a wordpress dove ho già un blog aperto: chiaramarnoni.wordpress.com.
    Un abbraccio
    Chiara

  4. Ciao cara Roberta
    Hai cambiato casa? Qui si riesce a leggere, in iobloggo saltava sempre tutto.
    Un bellissimo racconto, come sempre i tuoi racconti si leggono tutto di un fiato.
    Buon inizio settimana
    Un abbraccio
    Chiara

  5. Scrivi bene, spero tu possa aver seguito il mio consiglio! Hai mandato poi la mail per quel concorso di nnarrativa? Anche Giusy sta partecipando!

    • Roberta Boscolo Mela il said:

      Sfortunatamente non riesco a partecipare, mi manca il tempo. Però ti ringrazio di cuore per avermi mostrato questa bellissima iniziativa 🙂
      Buona serata!!!

  6. Per quanto riguarda il mio romanzo, naturalmente invierò a te l’incipit, è sempre l’inizio che mi… distrugge, vado troppo lenta nello svolgimento, e invece tutti dicono che sono le prime pagine a catturare l’attenzione e l’nteresse.

    • Comunque in questi giorni sono riuscita ad abbreviare l’inizio, ho eliminato parecchie pagine superflue, però… Però mi pare che, aggiungendo e eliminando, stia diventando una nuova tela di Penelope :))

        • Sei un tesoro, in realtà più lo leggo, più scemo mi pare. Coè, c’è qualche capitolo ben riuscito, ma tanti fanno proprio acqua… Devo ancora imparare a nuotare ))

          • Quanto sono pentita di avere cambiato blog, in questo mi spuna un post alla volta e non riesco più a trovare i post e i commenti precedenti e gli amici!
            Vorrei ritornare indietro ma, incredibile, non trovo più nemmeno i comandi, e sì che quando ho chiuso l’altro blog li ho trovati in un attimo…
            Un abbraccio, Bjbyna

  7. E’ un gran bel racconto, Bjby, hai una fantasia incredibile e sei riuscita a immedesimarti con i personaggi, rendendoli molto realistici e vivi sotto un velo di fiaba.

    • Roberta Boscolo Mela il said:

      Ti ringrazio di cuore 🙂 sei sempre dolcissima!

  8. Sai che pensavo che tu avessi cambiato template? Ma era troppo mobile e vario, troppo diverso da quelli rigidi e statici di iobloggo, così ho guardato l’url e ho scoperto di trovarmi su altrvista 🙂

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