Una notte nell’aldilà

Una notte nell'aldilà«Non può stare qui, signorina. Stiamo chiudendo».
Clara alzò la testa seccata, abbandonando la piacevole lettura nella quale aveva trovato rifugio quel pomeriggio. Era una storia di promesse infrante, amori traditi e amori ritrovati; una storia ricca di colpi di scena, ma anche di elementi fantastici; insomma, una di quelle storie che riescono a catturare l’attenzione del lettore sin dalla prima riga, incatenandolo al libro finché non arriva all’ultima parola dell’ultima pagina.
Dopo aver buttato il libro nello zaino, Clara si alzò, sfiorando la foto sulla lapide di sua madre. Era passato più di un anno dalla sua morte e da allora lei aveva preso l’abitudine di passare in cimitero almeno tre volte alla settimana, se non di più. Non importava se avesse impegni o stesse male. Non voleva rinunciare a quella routine che, sebbene potesse apparire strana, alleviava, seppur di poco, la solitudine che provava da quando l’aveva persa.
Era solita sedersi lì in silenzio, con la schiena appoggiata alla sua lapide. Molte persone, aveva notato, avevano l’abitudine di parlare di fronte alle tombe dei propri cari, ma lei non ci riusciva. Non c’erano parole che potessero esprimere appieno quanto sentisse la sua mancanza. Sua madre era stata l’unica persona di cui si fosse mai fidata e la sola che la conoscesse bene.
Pochi giorni dopo il funerale, suo padre, che non vedeva da più di undici anni, si era presentato alla sua porta ordinandole di fare i bagagli e di seguirlo a New York, dove viveva con l’attuale compagna, ma lei si era opposta. Non aveva alcuna intenzione di seguire quello che per lei non era altro che un perfetto sconosciuto, un uomo che aveva abbandonato lei e la madre perché si sentiva soffocare dalla vita domestica, ordinaria. Era stato solo grazie all’intervento della nonna materna che Clara era riuscita ad evitare il trasferimento. Dopo una lunga discussione, infatti, l’anziana donna aveva deciso di prendersi personalmente cura della nipote.
Clara le era davvero grata ma, sebbene le volesse un gran bene, non riusciva più a sentirsi a casa da nessuna parte se non lì, tra quelle fredde lapidi di marmo che sembravano incutere un certo timore a chiunque eccetto lei. Era per questo motivo che Clara vi trascorreva così tanto tempo, a pensare oppure a leggere, lasciando che il resto del mondo le scivolasse attorno senza toccarla.
Mentre si avviava verso l’uscita, osservò i nomi incisi sulle diverse lapidi. Lo faceva ogni volta che tornava a casa e ormai aveva imparato i loro nomi a memoria. I loro volti sembravano sorriderle. Alcuni erano vissuti più di cent’anni prima e lei non poteva fare a meno di chiedersi se ci fosse ancora qualcuno che si ricordasse di loro. Probabilmente no, a giudicare dai vasi di fiori costantemente vuoti.
Il tempo purtroppo tende a cancellare i ricordi, proprio come il mare cancella le orme lasciate sulla sabbia; ma Clara non gli avrebbe mai permesso di cancellare il ricordo della madre. Sfogliava ogni giorno gli album con le sue fotografie, richiamando alla mente i momenti trascorsi insieme. Sperava che, così facendo, sarebbe riuscita a non dimenticare.
Sfiorando le lapidi con lo sguardo si accorse che una nuova era stata aggiunta a quelle che già conosceva. Si trattava di un ragazzo di neppure vent’anni, ma ciò che la stupì fu la data di morte, che risaliva al giorno precedente. Era strano che avessero organizzato il funerale e la sepoltura in meno di ventiquattrore, ma la cosa più improbabile era la lapide: ci volevano giorni per ottenerne una di così pregiata fattura, anche se dallo stile un po’ rétro. Forse si trattava di qualcuno particolarmente ricco e importante.
Si guardò intorno alla ricerca di un guardiano per soffocare la sua curiosità, quando una voce poco distante la spaventò. Sembrava provenire da un gruppetto di tombe alla sua destra e, avvicinandosi per controllare, per poco non finì dentro una fossa scavata di recente.
«Ehi, tu! Meno male che sei qui. Ti dispiacerebbe darmi una mano?» La voce proveniva proprio da quella buca e, sebbene il cuore le martellasse in gola, Clara si inginocchiò e si sporse per guardare al suo interno. Un paio di metri più in basso c’era un ragazzo che la osservava impaziente.
Non aveva bisogno di chiedergli come avesse fatto a finire lì dentro; per poco non c’era caduta lei stessa. Quella fossa era così ben nascosta fra le altre tombe da sembrare quasi invisibile.
«Vado a chiamare un guardiano» lo rassicurò lei, alzandosi e cercando di togliere della terra dalle ginocchia.
«Ti prego, no! Non serve» la bloccò lui allarmato.
«Perché no?» domandò sorpresa.
«Perché… ecco… io… » borbottò, evitando di guardarla negli occhi. «Credo di potercela fare anche da solo. Ti dispiacerebbe passarmi la mia chitarra? Dovrebbe essere lì vicino».
Clara alzò gli occhi al cielo: possibile che incontrasse solo gente strana? Ma se quel ragazzo preferiva restare laggiù piuttosto che chiedere aiuto, non erano certo affari suoi.
Il cimitero stava per chiudere e voleva andarsene via il prima possibile, perciò si guardò rapidamente intorno. La chitarra era appoggiata ad una delle sue tombe preferite. Accanto alla lapide c’era infatti una statua a grandezza naturale che rappresentava un bellissimo angelo con gli occhi rivolti verso il cielo e un sorriso beato sul volto. Era stato scolpito così bene da dare l’impressione che potesse prendere vita da un momento all’altro.
Clara prese la custodia della chitarra ma, sollevandola, si accorse che era molto più leggera di quanto avesse immaginato, inoltre sembrava che dentro vi fossero degli oggetti metallici che tintinnavano se la si scuoteva troppo.
Incuriosita dal rumore, posò la custodia per terra e l’aprì; al suo interno, gettati alla rinfusa, c’erano una corda legata ad un rampino, un piede di porco, delle tenaglie e alcuni grimaldelli. Fissò gli oggetti a lungo, senza sapere bene cosa fare, finché quel misterioso ragazzo non le urlò qualcosa che però lei non comprese. Probabilmente si stava chiedendo dove fosse finita.
Clara chiuse di scatto la custodia e si avvicinò di nuovo alla buca.
«Era ora!» sbottò il ragazzo, ravvivandosi i capelli. Dietro al suo tono seccato e spavaldo, però, si celava qualcos’altro. «Perché ci hai messo tanto?»
«Mi sono distratta a guardare la statua dove avevi appoggiato la chitarra» mentì lei.
«Ah! Pensavo fossi andata a chiamare uno dei guardiani» commentò sollevato.
«Perché?»
«No, ehm… niente. La chitarra?»
«Eccola. Ti serve qualcos’altro?» Clara di sporse, cercando di non scivolare, e gli porse la chitarra.
«No, grazie. Ce la faccio anche da solo» rispose lui, liquidandola in fretta.
Clara sorrise e lo salutò, allontanandosi però solo di qualche passo, in modo che lui non riuscisse a vederla.
Pochi secondi dopo sentì una serie di imprecazioni provenire dalla buca.
«Non dovresti parlare in questo modo» lo rimproverò lei, avvicinandosi di nuovo e cercando di non ridere. «Ci troviamo in un luogo sacro. Dovresti avere maggior rispetto per i defunti».
Il ragazzo la guardò furibondo.
«Ridammela».
«Non so di cosa tu stia parlando» gli sorrise Clara, sedendosi per terra e lasciando penzolare i piedi nella fossa. La rabbia rendeva il viso di quel ragazzo ancora più carino».
«La corda con il rampino. Ridammela».
«Ah, intendi forse questa?» Lei continuò a sorridere, facendo attenzione a far oscillare la corda appena al di sopra della sua portata. «Dovrei chiamare uno dei guardiani e denunciarti, lo sai?»
«Ti prego, no!». La rabbia sul suo viso evaporò in un lampo e la sua voce suonò incerta.
«Perché no? Sei un ladro» lo accusò lei, tornando seria e guardandolo dritto negli occhi. «Dammi una buona ragione per non farlo».
«Non sono venuto qui per rubare» confessò lui, mordendosi il labbro.
L’istinto di Clara le suggeriva che quel ragazzo fosse sincero, ma cercò di non darlo a vedere. Era sempre stata brava ad intuire quando una persona mentiva e il suo sesto senso le diceva che quella che lui aveva affermato era la pura verità.
«E allora perché ti porti dietro questi attrezzi? Dubito che sarebbero di qualche utilità per un chitarrista».
«Sì, hai ragione: sono un ladro; ma che tu ci creda o no, sono qui solo per cercare un amico. Si è intrufolato in questo cimitero la notte scorsa per una scommessa e da allora non è più tornato. L’ho cercato ovunque e, per quanto io detesti questo posto, ho pensato di provare anche qui. Potrebbe darsi che ritorni qui stanotte.
Gli attrezzi servivano solo per uscire dal cimitero prima dell’alba. Te lo giuro».
Clara rimase un attimo ad osservarlo, mentre il ragazzo si torceva le mani nervoso, poi gli lanciò la corda che cadde a pochi centimetri dai suoi piedi.
«Non so perché, ma ti credo».
Abituato com’era a scavalcare muri, il ragazzo ci mise pochissimo ad issarsi fuori da quella buca.  Ora che poteva vederlo più chiaramente, Clara notò che era poco più alto di lei e la fissava imbarazzato con quei suoi occhi color nocciola.
«Ti ringrazio. Non solo per avermi tirato fuori da lì, ma anche per avermi creduto. Sono in ben pochi a farlo, anche se non posso dar loro torto».
«Non c’è di che. Ora se non ti dispiace, me ne tornerei a casa. Sono già in ritardo» e fece per voltarsi verso l’uscita, quando lui la trattenne afferrandola per il polso.
«Scusa, io… non volevo» mormorò lui, sciogliendo la presa. «Il cancello ormai è chiuso e il guardiano ha già fatto il giro di tutto il cimitero. Non ripasserà prima di un paio d’ore».
«Cosa?!» Clara lo guardò a bocca aperta. «Beh, potremmo sempre chiamare qualcuno».
«E chi vorresti chiamare? Un guardiano? La polizia?» Il suo tono era leggermente stridulo. «Senti, se mi beccano qui per me è la fine. Mi hanno già arrestato per piccoli furti e, anche se mi hanno lasciato andare, mi hanno chiaramente fatto capire che la prossima volta mi sbatteranno in cella senza nemmeno pensarci».
«Non ho intenzione di passare la notte qui» replicò Clara a denti stretti.
«Mi dispiace averti fatto perder tempo, ma se vuoi posso aiutarti ad uscire da qui» rispose mortificato, indicando la corda che ancora teneva in mano.
«Okay». Clara avrebbe di gran lunga preferito chiamare il guardiano, ma questo avrebbe comportato l’arresto di quel ragazzo, oltre che una lunga ramanzina da parte di sua nonna; scalare un muro, al confronto, era una bazzecola.
«Vieni. Dall’altra parte il muro è un po’ più basso e ci sono degli alberi che ci forniranno un ottimo appiglio».
Si inoltrarono in quel dedalo di marmo e l’unico rumore che si udiva era lo scalpiccio dei loro piedi sulla ghiaia.
Solitamente Clara adorava il silenzio, ma in quel momento faticava a tenere a freno la curiosità.
«Come facevi a saperlo?» domandò infatti poco dopo.
Lui la fissò senza capire.
«Del guardiano. Come lo sai?»
«Ah. Io e il mio amico abbiamo passato qualche pomeriggio appollaiati sul muro di cinta. Era così ossessionato dall’idea di trascorrervi la notte, per dimostrare al resto del nostro gruppo che non aveva paura di nulla, da non sentire ragioni». La sua voce si riempì di rabbia. «Tutto per dimostrarsi più figo degli altri, capisci?»
Clara gli posò una mano sul braccio per calmarlo. Era un gesto un po’ insolito, dato che si erano appena conosciuti, ma le venne del tutto naturale.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa per consolarlo. Non riusciva a capire come mai le persone facessero cose stupide come quella solo per farsi notare, dal canto suo lei preferiva trascorrere il tempo facendo l’esatto contrario, cercando di farsi notare il meno possibile.
«Vedrai che riuscirai a trovarlo», fu tutto ciò che trovò da dire, «Magari si sta nascondendo qui di proposito solo per il gusto di farti preoccupare».
«Lo spero. È l’unico motivo che mi ha spinto a varcare la soglia di questo posto maledetto». Sembrava un po’ meno turbato di prima, o forse cercava di non darlo a vedere.
«Devi volergli davvero molto bene».
«Eccome. Siamo cresciuti insieme, per strada» le rivelò, fissando il sentiero con attenzione. «Non ci siamo già passati per di qua?»
«Mi pare di sì. Comunque se torniamo indietro e giriamo a sinistra dovremmo esserci».
Si voltarono e tornarono indietro per un breve tratto. Si era fatto ormai buio e le fotografie e le statue, illuminate appena da dei lumini, donavano al cimitero un aspetto sinistro.
«Perché pensi che questo posto sia maledetto?» domandò Clara, ripensando a quello che lui aveva detto poco prima.
«Ci sono moltissime storie che circolano su questo cimitero. Molte di queste parlano di sparizioni e strani riti. Non so quante e quali di queste storie siano vere, ma questo posto mi ha sempre dato i brividi, anche in pieno giorno.
Pensa che alcuni l’hanno addirittura soprannominato Bocca del Diavolo» bisbigliò piano, costringendo Clara ad avvicinarsi per capire meglio quello che diceva.
«Non lo sapevo».
«Non sono in tanti ad esserne a conoscenza. Sono leggende tramandate dagli zingari, per questo non le conosci. Le brave persone come te non frequentano gente del genere».
«E tu credi veramente a queste storie?» domandò lei d’impulso, cercando di celare il sarcasmo.
«Sinceramente non lo so, ma preferisco andarmene da qui il più presto possibile. Non ci tengo a scoprire quanto quelle storie possano effettivamente rivelarsi vere». Il ragazzo scrollò le spalle e proseguì, senza accorgersi che Clara non era più al suo fianco. Si era fermata qualche passo più indietro, distratta da un mormorio di voci che sembrava provenire da uno dei mausolei che delimitavano il lato orientale del cimitero.

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