Il Dono del Genio

Il Dono del GenioHo visto il mondo così tante volte e in così tante epoche diverse, che ormai ho davvero perso il conto di quanti anni in realtà io abbia. Sono su questa terra da secoli e secoli, e ancora non mi sono stancato di osservare il mondo. E’ sempre affascinante vedere come, di volta in volta, i mortali si comportino di fronte a ciò che ho loro da offrire. Sono un genio come tanti, ma con una personalità veramente particolare. I tre desideri che posso esaudire non celano mai tranelli, come invece accade con i desideri dei miei colleghi. Io voglio davvero aiutare le persone, ma queste spesso pensano solo a se stesse e sprecano il mio dono in maniera sciocca ed egoistica.
Sono passato tra le mani di molti personaggi illustri, che non sempre mi hanno usato per fare del bene. Sono stato la causa di moltissime guerre e disastri naturali, come uragani o terremoti, e ho distrutto imperi e nazioni, il tutto per la bramosia di un solo uomo. Ogni volta che qualcuno abusa del mio potere, stanco e deluso dall’umanità, mi ritiro in un piccolo tempio sotterraneo, ma non sarò così sciocco da rivelarvi dove si trovi. Lì riposo e ogni cento anni ritorno a camminare nel mondo, alla ricerca di mortali a cui affidare i miei desideri. Il giorno in cui riuscirò a trovare qualcuno che esaudirà il giusto desiderio finalmente sarò libero.
Non pensiate che io sia migliore di voi, oh mortali, anzi… una volta ero umano anch’io e fu proprio un desiderio a trasformarmi in un genio. Ero stato avvisato che chiedere l’immortalità non era possibile, ma volevo vivere per sempre e, pieno d’invidia e di stupidità, espressi il desiderio di essere come quel genio che, per punizione, mi rese uguale a lui e tale sarei rimasto, finchè non avessi trovato una persona che esprimesse un desiderio puro di cuore.
In migliaia di anni non ho mai trovato nessuno che fosse degno di ciò e non mi sembra che con il passare del tempo la situazione stia migliorando. L’umanità è sempre più concentrata su sé stessa da preoccuparsi di cosa sia realmente giusto. Tuttavia ogni volta non posso fare a meno di sperare di sbagliarmi.
Questa mattina mi sono svegliato dopo un sonno lungo cent’anni e sono uscito presto dal mio rifugio, desideroso di sgranchirmi un po’ le gambe. Pieno di stupore ho continuato a girovagare guardando qui e là.
Le città ora sono così diverse da come le ricordavo, troppo piene di cemento e di enormi palazzi. Dove sono finite le piante e gli alberi che dipingevano il paesaggio? Svaniti, distrutti. L’uomo davvero non sa apprezzare le bellezze che lo circondano, ma è costantemente spinto dalla volontà di mettere le sue mani ovunque, di modificare, distruggere, edificare.
Proseguo il mio cammino immerso nei miei pensieri. É appena cominciata l’estate e c’è molta gente che gira per le strade. I loro vestiti, se quei pochi centimetri di stoffa posso essere definiti tali, sono veramente buffi e lasciano la pelle piuttosto scoperta. Schioccando le dita mi ritrovo abbigliato come loro, una canottiera bianca e un paio di pantaloni corti color cachi li posso anche accettare, ma queste strane scarpe tutte aperte proprio non le capisco. Mi domando come facciano a camminare con queste ai piedi. Ogni volta che faccio un passo rischio di perderle. Stavo appunto cercando di avviarmi verso il centro della città quando inciampai e caddi lungo disteso su un’aiuola.
«Tutto bene giovanotto? Si è fatto male?»
Alzai piano la testa, il viso paonazzo dalla vergogna, e risposi: «Tutto apposto, grazie».
«Dai Giovanni, dammi una mano che lo tiriamo su».
Sentii quattro mani robuste che mi sollevarono e mi rimasero in piedi. Una volta alzato li squadrai e li ringraziai. Si trattava di tre uomini sulla sessantina: quello alla mia sinistra, che mi aveva rivolto la parola, era alto e​ magro, con una camicia e dei pantaloncini azzurri, e mi scrutava da sopra gli occhiali da sole; quello al centro, invece, era un po’ più basso e robusto e portava una polo rossa con dei pantaloni bianchi; quello alla mia destra, Giovanni presumo, aveva invece una camicia a fiori particolarmente bizzarra che stonava particolarmente con i suoi pantaloncini gialli a pois.
«Vi ringrazio» riuscii a mormorare con imbarazzo.
«Ma figurati» borbottò l’uomo con la maglia rossa «Vieni, qui vicino c’è un piccolo giardino con una fontanella, così potrai ripulirti».
«Grazie, molto gentili».
«Come ti chiami giovane? Non mi sembri di queste parti» mi domandò l’uomo vestito d’azzurro.
«Mi chiamo Ryg e no, non sono di queste parti» risposi continando a guardare per terra, tutto concentrato sul non perdere le mie stranissime scarpe.
«Ryg, eh? Un nome davvero singolare. No, non l’avevo mai sentito» mi disse lui.
«Eh, cosa vuoi Cosimo, al giorno d’oggi le donne preferiscono chiamare i propri figli con nomi strani piuttosto che ricordare i loro nonni o i loro genitori» esclamò imbronciato l’uomo con la maglia rossa.
«Scusa la nostra maleducazione, non ci siamo presentati: io sono Cosimo, quello con l’espressione perennemente corrucciata è Girolamo, mentre lui è Giovanni».
«Molto piacere».
«Eccoci qua Ryg, vieni. Meglio lavare sotto l’acqua quella canottiera, è tutta sporca di terra».
Ryg osservò un momento i tre uomini che erano stati così gentili con lui. Forse loro sarebbero stati la sua liberazione. In fondo, con qualcuno doveva pur tentare, erano le regole, quindi perchè non con loro che gli avevano dimostrato tanta gentilezza?
«Non ce n’è bisogno miei cari signori» esclamai.
«Come no? Guarda che macello hai combinato» sbottò Girolamo.
«Non dovete preoccuparvi», continuai, «sono un genio e ho il potere di esaudire tre desideri, uno per ciascuno di voi».
«Ossignore, deve aver battuto la testa quand’è caduto» disse Giovanni battendo le mani.
«E’ normale che non mi crediate, quindi vi darò una piccola dimostrazione» e, semplicemente schioccando le dita, feci sparire non solo la macchia di terra, ma anche quegli strani indumenti che al giorno d’oggi la gente ama indossare, rimettendo al loro posto i miei soliti abiti: pantaloni larghi, ciabatte e turbante, avete presente, no? La classica divisa da genio.
Mi sarebbe piaciuto immortalare la faccia sgomenta di quei tre, i loro occhi spalancati e la bocca leggermente aperta dallo stupore, ma, se avessi fatto apparire uno di quei strani apparecchi che voi mortali chiamate smartphone, probabilmente li avrei visti darsela a gambe di corsa.
«Che mi venga un colpo» esordì finalmente Cosimo «avete visto ragazzi?»
Gli altri due, ammutoliti, annuirono in risposta.
«Sei davvero un genio?» domandò Giovanni.
«Certo», mi affrettai a rispondere, «e avete a disposizione tre desideri. Ricordate però che ci sono delle regole, non potete diventare immortali, governare la terra oppure far innamorare di voi una donna».
Non appena ebbi terminato la frase subito quei tre si misero a parlare contemporaneamente su quale desiderio esprimere:
«Ah, io chiederò al genio di diventare straricco, così potrò fare quello che voglio e avere tutte le donne che voglio» sentenziò Girolamo.
«Io invece un bellissimo e lussuosissimo yacht» disse Giovanni.
«Giovanni sei proprio un’idiota» lo rimproverò Girolamo «se diventi ricco puoi comprarti tutti gli yacht che vuoi».
«Non ti azzardare a darmi dell’idiota, brutto asino che non sei altro» replicò Giovanni.
Girolamo e Giovanni iniziarono subito a litigare, passando da un insulto all’altro e alzando il tono di voce, mentre Cosimo cercava inutilmente di calmarli, fino a quando, frustrato, urlò: «Vorrei che la smetteste di parlare!» e fui quindi costretto ad esaudire il suo desiderio.
Allibito, Cosimo guardò i suoi due amici che continuavano a muovere la bocca senza emettere alcun suono e si voltò a guardarmi.
«Perchè?» mi chiese cautamente.
«Hai espresso un desiderio» risposi candidamente incrociando le braccia sul petto.
«No, non l’ho fatto».
«Sì, invece. Hai detto “Vorrei”».
«Ma… ma è assurdo, falli ritornare com’erano» obiettò, pestando un piede per terra.
«Non posso, sono le regole. Se vuoi che ritornino come prima, non hai che da desiderarlo».
Cosimo mi guardò stupito e iniziò spostare lo sguardo da me ai suoi amici, come se stesse riflettendo sulla possibilità di tenere gli altri due desideri solo per sé. Poco dopo, sospirando disse: «Vorrei che tornassero come prima».
Appena Giovanni e Girolamo riebbero voce iniziarono subito a scagliare contro di me la loro ira:
«Maledetto genio. Volevi imbrogliarci» iniziò a sbraitare Girolamo.
Si erano già dimenticati di avere ancora un desiderio a disposizione, troppo presi a urlarmi contro, mentre Cosimo se ne stava in disparte ad osservare la scena. Continuarono per circa mezz’ora a ricoprirmi di insulti e a urlare adirati a squarciagola e, senza pensare, Giovanni espresse così il loro ultimo desiderio, mentre Cosimo, accortosi troppo tardi di ciò che l’amico stava per fare, cercava invano di tappargli la bocca:
«Vorrei non averti mai incontrato, farabutto».
E fu così che mi ritrovai catapultato davanti ai gradini del mio rifugio, mentre Cosimo, Giovanni e Girolamo lentamente perdevano ogni ricordo di ciò che avevano visto e il mio volto scomparve dalla loro memoria.
Affranto dall’ennesimo fallimento, scesi lentamente i gradini e raggiunsi la sala dove la mia cara e amata lampada mi attendeva. Questa volta avevo seriamente creduto di aver trovato le persone giuste, ma mi sbagliavo. E’ proprio vero quel famoso detto che dice che non è tutto oro quel che luccica. Dovrò fare più attenzione la prossima volta e osservare meglio le persone che mi circondano, invece di dare subito la mia fiducia al primo che mi offre una piccola gentilezza. Sono stato sciocco, lo riconosco. Mi sono fatto acceccare dalla voglia di essere libero.
Mi dissolvo in una nuvola di fumo ed entro all’interno della mia lampada. Sono così stanco, ho bisogno di riposare. L’ultima cosa che riesco a pensare prima di addormentarmi è che la prossima volta andrà meglio.

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