Bacio di Sangue

Bacio di SangueIsabelle emerse lentamente dal suo caldo e confortevole bozzolo di piume bianche. Il vento gelido le scuoteva le ali che ancora l’avvolgevano stretta. Aprì un occhio piano piano e allargò un pochino le ali, quel tanto che le bastava per sbirciare fuori. Il vento le sferzò il viso. ‘Troppo freddo’ – pensò rinchiudendosi in fretta in se stessa.
Era terribilmente stanca di quella continua fuga. Ogni notte doveva pensare solo a scappare da Lui, perché se l’avesse presa, per lei non ci sarebbe stata alcuna speranza di sopravvivenza.
Le sarebbe piaciuto rimanere lì, nell’oscurità e nel tepore che il suo guscio le offriva, ma il tramonto era vicino e presto Luchas avrebbe ricominciato la sua caccia.
Luchas. Un angelo come lei, dannato da una strega malvagia, costretto a nutrirsi solo del sangue e della carne delle sue povere vittime. Di giorno assomigliava all’angelo che era stato un tempo, i folti capelli neri che gli arrivavano appena sotto le orecchie, e quei suoi meravigliosi occhi grigi che ammaliavano chiunque e che le avevano rubato il cuore. Durante la notte, invece, il suo aspetto era ben diverso, simile a un demone infernale. La sua pelle si colorava d’un rosso fuoco, ed era tesa e resistente, mentre i capelli lasciavano il posto a due enormi corna d’ariete; sulle dita comparivano lunghi e pericolosi artigli e i denti divenivano più affilati di un rasoio, fedeli strumenti per lacerare la carne. Le sue ali perdevano tutte le piume, come un albero che perde le foglie con i primi venti autunnali, ricoprendosi di una spessa membrana, molto più simile a un pipistrello che a un delicato cigno. Il suo corpo, da esile e sinuoso, s’irrobustiva diventando possente e muscoloso. La cosa che più la spaventava erano i suoi occhi, profondi abissi color rosso sangue, senza iridi né pupille. Al solo pensiero un brivido di terrore scese lungo la schiena.
‘Per quanto tempo ancora’, si chiese, ‘sarebbe stata in grado di sfuggirgli?’
Finché non fosse riuscita a fargli perdere le sue tracce, nascondersi era completamente inutile. Poteva solo cercare di essere più veloce di lui. Era l’unico vantaggio che aveva: la velocità. La sua mole muscolosa e pesante, infatti, lo rendeva micidiale, ma anche più lento.
Isabelle spalancò le ali di scatto e aprì gli occhi. Il tramonto era ormai prossimo e doveva affrettarsi. Fece per alzarsi ma Luchas, giunto lì di soppiatto mentre lei rifletteva, le afferrò un braccio impedendole di muoversi.
“Resta con me. Non vorrai mica perderti questo bel tramonto così romantico e lo spettacolo che segue.” – disse con un sorriso spietato dipinto sul volto.
Il corpo di Isabelle s’irrigidì in risposta, senza che lei potesse dissimularlo. Luchas, che se ne era accorto, senza smettere di sorridere le lasciò andare il braccio dicendo: “Va pure. Riuscirò comunque a raggiungerti.”

Luchas rimase seduto a fissare il tramonto mentre con l’orecchio teso ascoltava Isabelle allontanarsi. Lei lo affascinava davvero molto. Non erano i suoi occhi verde chiaro o i lunghi capelli castani che le accarezzavano dolcemente la vita a incantarlo. Quello che lo attirava era il suo carattere, testardo e coraggioso. La inseguiva da più di un mese, e non era ancora riuscito a catturarla. Forse questa volta ci sarebbe riuscito. Doveva assolutamente bere il suo sangue. Solo il sangue di un angelo avrebbe potuto liberarlo.
La notte era ormai giunta quando un dolore lancinante gli attraversò tutto il corpo intensificandosi man mano che saliva lungo la schiena e arrivava alla base del capo. Luchas si contorse in preda agli spasmi urlando. La sua pelle si tese come un elastico e si strappò, cadendo a brandelli sul terreno, e rivelando al suo posto uno spesso strato di pelle rossastra. Non ci volle molto perché la trasformazione avesse fine e il suo corpo smettesse di contorcersi. Col passare del tempo il dolore non diminuiva. Ogni giorno il medesimo tormento per chissà quanto tempo ancora. Luchas tirò indietro la testa per tendere i nervi del collo, cercando di dimenticare ciò che era appena avvenuto.
Aprì lentamente gli occhi, si sciolse le spalle e scrutò la foresta intorno a sé. Il primo pensiero che riuscì a formulare fu che era terribilmente affamato. Da giorni ormai digiunava per poterla catturare e nutrirsi di lei, pensando che il desiderio di carne lo rendesse più forte. La fame era quasi incontrollabile, ma rendeva i suoi sensi ancora più vigili e acuti. Si voltò rapido nella direzione in cui l’aveva sentita fuggire. Il suo odore era inconfondibile, profumava di miele e orchidee. Si fiondò veloce fra gli alberi, seguendo la sua scia che zigzagava a destra e a sinistra, tornava indietro e poi continuava diritta.
Passarono ore prima che Luchas si rendesse conto che in realtà stava solo continuando a girare in tondo. Era un tranello ben architettato. Fermandosi un momento a riflettere si accorse che l’odore di Isabelle era molto forte perché vi era passata più di una volta per confondere la pista. Facendo molta attenzione, poteva sentire una piccola scia di profumo che saliva verso l’alto, e che prima, troppo affamato per rendersene conto, non era riuscito a percepire. Come un’idiota aveva seguito ciecamente la scia più forte senza nemmeno controllare se ve ne fossero altre. Luchas ringhiò schiumante di rabbia. Era caduto in quel tranello come un povero sciocco e questo lo faceva davvero infuriare. Non poteva sopportare di essere umiliato così.
Isabelle doveva aver disseminato il bosco di false tracce e poi aver spiccato il volo per allontanarsi il più possibile da lui, certa che il trucco avrebbe funzionato. Lo conosceva molto meglio di quanto lui avesse mai sospettato. Luchas annusò quella flebile scia. Con tutto quel vento sarebbe scomparsa in fretta. Si piegò sulle ginocchia e con una poderosa spinta saltò verso l’alto, muovendo rapidamente le ali per emergere da quella maledetta foresta.
Iniziò a disegnare un grande cerchio nel cielo, per cercare di trovare almeno una minima traccia. Fu per pura fortuna che dopo alcuni giri riuscì a individuare una leggerissima traccia del suo odore, trasportata dal vento che aveva appena cambiato direzione. Si lanciò immediatamente da quella parte, recuperando il tempo perduto sbattendo ripetutamente le grandi ali. La ragione era ormai accecata dalla tremenda fame e dal desiderio di carne. Dopo appena un’ora di volo riuscì a scorgere Isabelle che continuava stremata e imperterrita a volare, senza nemmeno accorgersi che si trovava a poche centinaia di metri da lei.
Un soffio di vento portò alle sue narici un profumo invitante che proveniva dal limitare della foresta, ben diverso da quello di Isabelle. Troppo affamato per sfuggire a quella tentazione e ormai senza alcun controllo, con un verso disumano si gettò in picchiata verso quel profumo delizioso. Sentiva già il dolce sapore del sangue in bocca. Quando la giovane donna lo vide arrivare, cercò di urlare più forte che poté, ma fu del tutto inutile. Luchas piombò su di lei come un animale inferocito, sfigurando e lacerando il suo corpo con i denti. Non fu molto ciò che rimase di lei.
Isabelle nel frattempo, dopo essersi voltata a quell’urlo straziato, continuò a volare fino a che la stanchezza le impedì di proseguire oltre. Ormai esausta e con il respiro mozzato, si nascose in una piccola grotta, su di una montagna molto lontana da dove si era rifugiata la notte precedente. Si sedette nel fondo della caverna, dove l’oscurità era più fitta, e richiuse le sue ali attorno al suo corpo, come se quel piccolo involucro di piume potesse proteggerla dalla minaccia che la perseguitava.
Era quasi l’alba, ma quel giorno i raggi del sole non sarebbero riusciti a penetrare quelle grosse nuvole nere. L’ultimo pensiero prima di addormentarsi fu che se avesse piovuto ogni traccia del suo passaggio sarebbe stata cancellata.

Erano passate poche ore quando Isabelle si svegliò di soprassalto, dopo che si era addormentata sul pavimento di quella grotta. Appena cercò di alzarsi in piedi ogni muscolo del suo corpo, protestò. Era riuscita a sfuggirgli solamente perché era stata fortunata. ‘Fortunata?!’ – pensò, mentre le si riempivano gli occhi di lacrime. Come poteva definirsi fortunata dopo che qualcun altro era stato ucciso al suo posto? Sapeva bene che non avrebbe potuto salvare quella donna, Luchas si era avidamente gettato sopra di lei, uccidendola all’istante. Non avrebbe potuto raggiungerli in tempo. Eppure si sentiva tremendamente in colpa. Quante altre persone sarebbero state uccise ancora? A quel pensiero il suo cuore si gonfiò di dolore.
Ripensò per un momento a quando la strega aveva maledetto Luchas perché questi aveva rifiutato e deriso il suo amore. Accecata dall’odio, aveva lanciato un incantesimo che aveva reso il suo cuore nero come l’inchiostro, trasformandolo in un mostro avido di sangue. Ricordò perfettamente le parole della strega, ‘Solo il cuore di un Angelo può salvarti’.
Fu proprio ripensando a quelle parole che seppe cosa doveva fare. Non poteva ucciderlo, lo amava troppo, ma doveva porre fine a tutto questo ad ogni costo. Nessun altro doveva morire. Avrebbe fatto il necessario affinché nessun’altra goccia di sangue innocente venisse sparsa: avrebbe sacrificato se stessa. Non era forse questo il compito di un Angelo? Salvare e proteggere ogni più piccola forma di vita?
Si avviò verso l’uscita della caverna. Sebbene la fuga della notte scorsa l’avesse prosciugata di ogni energia, doveva trovare il modo per tornare indietro e cercare Luchas. Il tempo non era dei migliori. Anche se aveva smesso di piovere, le raffiche di vento erano troppo forti; volare era impensabile. Doveva quindi tornare indietro a piedi, fino al bosco in cui si era rifugiata il giorno prima, nella speranza di trovarlo. Le ci vollero parecchie ore per giungere sino al punto in cui Luchas si era nutrito qualche ora prima. L’erba era sporca di sangue misto a pioggia. Del corpo della donna erano rimaste solamente delle ossa sparse qua e là. Rimase impietrita da quella vista. Luchas l’aveva divorata come un animale; un demonio maledetto uscito dalle fauci dell’Inferno, ecco cos’era diventato. Isabelle radunò tutte le ossa che riuscì a trovare e le seppellì, così che non diventassero preda di qualche animale selvatico.
Quand’ebbe terminato, poco dopo mezzogiorno, riprese a camminare in direzione del bosco, quando Luchas l’afferrò inaspettatamente da dietro, bloccandole le braccia e le ali così che non potesse liberarsi, risollevandosi rapidamente verso l’alto.
“Sapevo che saresti tornata indietro prima o poi.” – le disse sorridendo – “Ma non immaginavo che l’avresti fatto così presto.”
“Qualcuno doveva pur rimediare a quello scempio.” – rispose mestamente lei senza tentare di liberarsi.
“Meno male che ci hai pensato tu.” – esclamò ironicamente. Non ottenendo alcuna risposta la strinse un po’ più forte: “Ma come siamo docili oggi.”
“Dove mi stai portando?”
“E’ una sorpresa.”
Isabelle notò il suo tono divertito. Non riusciva a vedere il suo viso, ma sapeva che godeva del fatto di averla colta alla sprovvista. Non aveva idea di dove la stesse portando, ma non tardò molto a scoprirlo. Poco tempo dopo, infatti, Luchas planò in una piccola radura nel bosco, vicino a dove aveva dormito due notti prima. Isabelle la riconobbe immediatamente: c’era passata diverse volte per confondere le sue tracce mentre tentava di sfuggirgli. A pochi metri da terra Luchas mollò la presa e lei, colta di sorpresa, cadde lunga distesa al suolo. Avvicinandosi le scagliò un calcio sul fianco destro, scaraventandola contro uno degli alberi che circondavano la radura. Isabelle alzò lo sguardo verso di lui e vide che sorrideva con freddezza. Di colpo quel sorriso si trasformò in una maschera di rabbia.
“Questo è per lo scherzetto che mi hai giocato l’altra notte. È stata una mossa davvero molto furba, ma non abbastanza.” – e, facendo qualche passo verso di lei, il suo tono divenne ira allo stato puro – “Credi davvero di poter fuggire per sempre da me?”
Isabelle percepì il dolore dietro quelle parole. Il dolore di un condannato. Nei suoi occhi vi si leggevano rabbia e disperazione. Avrebbe fatto di tutto per liberarsi di quella pena. Cercò di rialzarsi, ma lui le si avventò contro, afferrandola per la gola e sbattendola violentemente contro l’albero. Il colpo le tolse l’aria dai polmoni. Sebbene fosse convinta della sua scelta, di morire per ridargli la sua libertà, non poteva non avere paura.
“Dimmi che mi ami.” – sussurrò lui.
“No.”
“Pregami di non ucciderti, supplicami.” – e afferrata una pietra sufficientemente tagliente, ne appoggiò la punta sul petto di lei, premendola sulla pelle e facendola scorrere fin sotto il seno. Dalla ferita iniziò subito ad affiorare il sangue. Lui appoggiò le labbra sul petto di Isabelle, bagnandole con il suo sangue. Quando rialzò la testa, Isabelle lo osservò atterrita, consapevole di ciò che stava per accadere, ma Luchas, dopo aver visto il suo sguardo terrorizzato, avvicinò le labbra alle sue e la baciò. Non avrebbe mai potuto ucciderla. Non ora che aveva scoperto di amarla.
Quando riaprì gli occhi scoprì che Isabelle era sparita. Si voltò a cercarla affannosamente, ma lei non c’era più. Dall’altro lato della radura, su di un masso, sedeva invece la strega che l’aveva maledetto. All’improvviso capì tutto. La strega l’aveva punito per quello che le aveva fatto, togliendogli la persona a cui teneva di più. L’aveva trasformato in un demone non perché la uccidesse, ma perché scoprisse di amarla. Questa era la chiave per liberarsi dalla maledizione. L’unico Angelo che doveva uccidere era se stesso, il suo vecchio ego pieno di superbia. Voltò indietro la testa e costatò che le sue ali erano sparite. Era diventato mortale. Tutti i crimini che aveva commesso gli avevano macchiato l’anima e poiché il suo cuore non era più puro, non aveva più il diritto di essere un Angelo. E gli occhi mortali non erano in grado di vedere gli Angeli. Era questa la punizione che gli aveva riservato la strega: una vita senza la persona che amava.

Isabelle, consapevole dell’amore provava per lei, rimase al suo fianco tutta la vita, invisibile presenza che accompagnava il passare dei suoi anni. Poche ore prima che lui morisse, la strega bussò alla sua porta e, costatato che non aveva mai dimenticato la donna che aveva amato e che amava ancora e la lezione ricevuta, gli concesse la possibilità di vedere Isabelle ancora una volta. Così, quella sera, Luchas chiuse gli occhi per sempre, il sorriso sulle labbra e il cuore pieno d’amore. ​

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